Questi ultimi due anni, con gli eventi legati alla pandemia del covid 19, e con tutte le conseguenze legate sia alla situazione sanitaria che alle restrizioni sociali e alla crisi economica, più volte mi sono soffermata a riflettere sulla fragilità umana. Ci siamo ritrovati ad essere fragili di fronte alla malattia, di fronte alla solitudine e di fronte alla morte. Ci siamo accorti che a volte i rapporti umani, le amicizie che ci circondano, che riempiono quotidianamente la nostra vita, non bastano. Il lockdown ci ha portato via la nostra quotidianità fatta anche di materialità, di incontri con altre persone, di esperienze in giro per il mondo.
Ci siamo ritrovati da soli con noi stessi. Guardarsi dentro e capire cosa conta davvero per la nostra vita non è una riflessione che facciamo tutti i giorni. Richiede il silenzio, richiede l’ascolto di noi stessi, richiede la preghiera. La fede ancora una volta è la nostra salvezza, sì la nostra anima. La nostra interiorità e il rapporto con Dio sono ciò che può darci la forza di affrontare ogni cosa.
La pandemia ci ha insegnato che il nostro corpo è fragile e ciò che conta davvero è la nostra spiritualità.
Nella mia vita familiare e nell’Oratorio ho capito presto che la spiritualità è come una pianta, ha bisogno di nutrimento. Il nutrimento è la preghiera che ci crea un collegamento diretto con Dio. Scegliere l’anima, non scegliere il corpo.
L’abbiamo sentito dai telegiornali, e io mi sono immedesimata dal vivo nel mio lavoro di medico delle condizioni di solitudine in cui vivevano i malati di covid in ospedale, a casa o nelle case di cure. Non poter vedere i propri familiari, non poter a volte neanche sentirli per telefono, non sapere quanto tempo sarebbero rimasti in una stanza di ospedale e se sarebbero peggiorate le loro condizioni cliniche. L’unica speranza era intravedere, qualche volta al giorno, gli occhi di un medico o infermiere dietro la maschera dell’ossigeno a cui affidare la propria vita e con cui poter scambiare due parole. È mancato il calore umano dei familiari, la vicinanza che li rassicurava. In quei momenti l’unica cosa che poteva salvare era la fede in Dio.
Pregare, pregare e scegliere Dio. Io ho scelto Dio.
Questo periodo di pandemia, che purtroppo ancora non è concluso, ci ha dato dei segnali, cogliamoli! Non dimentichiamoci, quando questa situazione migliorerà, che tutto ciò che abbiamo intorno è labile, effimero, basta poco per abbatterlo. Noi e la nostra fede siamo la roccaforte su cui contare, le radici da cui ricostruire tutto. Prendiamoci per “mano” e costruiamo tante roccaforti insieme, aiutiamoci a fortificarle a vicenda e a ricostruire ciò che ci rende felice. La fede unisce.
La scienza ci ha permesso di sconfiggere il covid, di guarire dalle malattie del corpo. Dio è la scelta da compiere per essere sani nell’anima. Ed è ciò che conta più di ogni cosa.
Emilia Donnarumma
Oratorio di Formia LT